28 Dic Suonare il blues: quella nota che ti brucia l’anima
La nota blu. Non è solo quella che si sente, si ascolta vibrare da una corda di Mi minore o liberarsi da un soffio deciso di sax baritono.
La nota blu è quella che puoi vedere su una panchina vuota al crepuscolo, è quella che ti bagna di pioggia quando sei uscito troppo in fretta e furia per ricordarti l’ombrello, è quella che, non sai perché, a un certo punto ti fa annodare lo stomaco.
Tutti noi, almeno una volta nella vita, possiamo dire di essere stati vinti dalla nota blu: c’è chi cerca di ignorarla e chi si crogiola in lei, ma, quando arriva ai tuoi sensi, difficilmente non lascia il segno.
E c’è chi poi è riuscito a darle una forma, un nome, una definizione.
La nota blu, o blue note, è una nota alterata, generalmente con un bemolle, ossia abbassata di un semitono, che serve a conferire quel sapore malinconico e tormentato alla scala maggiore.
All’orecchio non allenato può anche sfuggire al primo ascolto: ma è nella zona più intima dello stomaco che va a radicarsi e, come in una sorta di empatia inconsapevole, ci fa diventare tutti un po’ black.
Ed è lei che caratterizza e definisce, in un certo senso, quel genere musicale che di definito non ha quasi nulla: a partire dal gospel, la musica nera, il jazz, il tutto si evolve e muta e prende i colori densi e torridi delle sponde del Missisipi. E’ il blues, drammatico, ruvido blues, che brucia i quartieri neri dell’America tra gli anni ’20 e gli anni ’60.
Blues non solo come genere musicale, ma come vero stato d’animo espresso in note: e non è un caso se, i più comuni musicisti jazz, ripetono sempre che “il blues dev’essere presente sempre: è il tuo modo di sentire”. Tutte le volte che una jam session entra in un clima di stanchezza, un musicista dice “su, ragazzi attacchiamo un blues”.
Perché una sola, singola, semplice nota basta a creare un intero universo blu? Forse proprio perché così nasce il blues, come espressione individuale, intimista, come quell’introversione che all’improvviso scoppia.
Tutta la grande musica ha, in fondo, le stesse origini: là in quei campi di cotone, ai lati delle ferrovie o a bruciare sulle pietre sotto il sole più torrido, come canto degli schiavi afroamericani a cui niente restava se non la musica. E il loro coro, la loro unione di voci, più forte di qualsiasi catena, viene digerito e risputato fuori dalle voci graffiate da whisky e sigarette di St. Louis o New Orleans, da quei grandi artisti che ci hanno fatto sentire il loro strazio e tormento: da Louis Armstrong a Miles Davis, da Bessie Smith a B.B. King, veri e propri dei nell’Olimpo della musica mondiale.
Non servono scuole, accademie o rovinarsi gli occhi sui libri per imparare il blues.
Lo devi sentire nelle budella, devi sentire quella nota che ti secca la gola prima ancora di pizzicarla sulla corda: così saprai e potrai suonare blues.
E allora su, ragazzi, attacchiamo un blues.
Marco
Posted at 12:14h, 25 AgostoIl Blues è forza e libertà, se lo gradisci seguimi su: Blue Devil’s Blues – on Facebook, ciao.