Marco Schnabl: quando la musica comunica forti emozioni

Marco Schnabl

Marco Schnabl: quando la musica comunica forti emozioni

La musica è passione, viene dal cuore, ma spesso non basta un grosso talento per far sì che il proprio sentire prenda una forma concreta e diventi un prodotto musicale vero e proprio. Serve tanto lavoro, tanta costanza, fatica e sudore, ore di prove e anni di studio. Marco Schnabl è un esempio fulgido di tutto ciò: musicista appassionato, ma anche fonico, tecnico in studio, addetto al suono, con un bagaglio enorme di esperienza a Londra e ancora tante cose da dire. È bello potersi confrontare con artisti come lui, grazie ai quali capiamo che l’arte non è semplicemente uno svago, ma è un lavoro a tutti gli effetti e, in quanto tale, va considerata. Abbiamo ripercorso la sua carriera e i suoi progetti attuali, in particolare parlando del suo ultimo lavoro omonimo, in uscita quest’estate e con un’importante campagna di crowdfunding a sostegno del disco. Ecco qua quello che ci ha raccontato.

 

Ciao Marco, grazie per questa intervista. Innanzitutto ti chiedo di presentarti ai lettori di Gigfound; in particolare mi interessa conoscere il tuo percorso artistico e le influenze che ti hanno portato a diventare chi sei.

 

Marco Schnabl

Marco Schnabl

Ciao a tutti! Marco Schnabl è un cantante, chitarrista e songwriter. Ho iniziato come chitarrista in una band nella mia città natale, Taranto, e poi dopo quella band ne è nata un’altra chiamata “Foghenaist” con la quale ho rappresentato la Puglia ad Arezzo Wave nel 1995 (prima volta in assoluto per una band tarantina). Dopodiché ci sono stati tour italiano, produzioni e contratti: il solito percorso (incredibilmente accidentato) di una giovanissima ed inesperta band emergente. Poi nel 1997 mi sono trasferito con la stessa band a Londra, dove sono rimasto a vivere fino al 2010. La band (che poi ha cambiato il nome in “Mother of Pearl”) si è poi sciolta nel 2004 dopo due EP e tour in Europa e Stati Uniti. Credo che il mio percorso non sia stato dissimile da quello di molti altri artisti. Ho avuto modo di fare esperienze di vita e di lavoro che mi hanno profondamente segnato da un punto di vista umano e che oggi costituiscono le fondamenta di ciò che esprimo. Da un punto di vista musicale credo di essere stato influenzato agli inizi dalla musica rock americana e dal cantautorato italiano. Poi pian piano i miei gusti sono cambiati, nel senso che i miei lunghi tredici anni in giro per il mondo mi hanno permesso di ascoltare ed aprirmi a nuove forme musicali che prima non conoscevo. O meglio, credevo di conoscere ma non ne comprendevo in effetti il significato. Respirare l’aria anglosassone per tanto tempo mi ha permesso di capire certi linguaggi: dal punk al reggae al jazz all’elettronica. Posso dire di avere ascoltato e metabolizzato migliaia di titoli, approfondendo poi il loro contenuto lirico e constatando l’importanza assoluta dei testi nella musica di stampo anglosassone in genere. Poi alla fine io sono oggi il risultato di un percorso di vita estremamente particolare e sui generis. Mi ci vorrebbe un libro per raccontarlo!

 

Il 2016 è per te l’anno di uscita del tuo primo lavoro come cantautore rock/blues: un EP di sei canzoni. Come mai solo ora hai deciso di cimentarti in un lavoro simile, dopo tanti anni di band? Inoltre ti chiedo come è avvenuta la produzione.

 

copertina Marco Schnabl

Copertina dell’EP di Marco Schnabl

La mia intenzione era quella di pubblicare un lavoro di sei brani. Ho poi deciso di aggiungerne un altro (che ho finito di registrare un mese fa) e quindi di venir fuori con un album di 40 minuti di musica. Non ho mai apprezzato l’usanza (nata nell’era dei CD) di riempire un album di brani, spesso anche di secondario spessore artistico. È un’usanza ormai obsoleta, dovuta al fatto che siccome su un CD ci vanno fino ad 80 minuti di musica, le case discografiche spingevano gli artisti a riempire appunto i CD per giustificarne il costo di vendita al pubblico, basando questa giustificazione sulla quantità di brani anziché sulla loro qualità. Per ora sono un artista indipendente e quindi mi va bene venir fuori con un album di 40 minuti di musica, proprio come nell’era vinile, che è poi il format che voglio produrre assieme a quello liquido/digitale. A tale proposito è online la campagna di crowdfunding per finanziare la stampa dei dischi, che tutti possono trovare a questo link .
Fatta questa piccola precisazione, per rispondere alla tua prima domanda posso dirti che tre anni fa avevo già pubblicato un album solista (solo in formato digitale) di musica strumentale che avevo scritto negli ultimi dieci anni. È su tutte le piattaforme online, ma non l’ho promosso particolarmente poiché’ non voglio suonare musica strumentale. La forma canzone è quella che mi si addice di più. Indi nel 2014 ho ripreso a scrivere canzoni usando la lingua inglese. Ci sono arrivato soltanto ora per una serie rocambolesca di motivi legati al mio passato artistico ed umano. La questione, per farla semplice, è che ad un certo punto della mia vita ho capito di avere delle cose da dire ed esprimere ed ho avuto il desiderio impellente di ricominciare anche a cantare. Ho sempre cantato, in effetti, ma mai come frontman in una band. Evidentemente per me i tempi erano maturi per farlo.
Per quanto riguarda la produzione, ho fatto tutto da me. Dalla scrittura, all’arrangiamento, alla registrazione, alla performance, al mixaggio e mastering. Ho imparato a fare tutto questo a Londra, ma credo di aver sempre avuto un talento innato per la produzione. Avendo poi lavorato in studio con artisti come i Duran Duran fino al mio mentore e produttore Chris Kimsey (che tra gli altri ha fatto sette dischi dei Rolling Stones), ho consolidato un enorme know-how. In pratica ho fatto per vent’anni il chitarrista, scrittore, fonico e produttore a tempo pieno. Tutto questo mi ha permesso di fare ciò che sto facendo adesso, senza dover spendere un botto di soldi in studio. Dunque mi sono dedicato a tutta la produzione nel mio studio privato. E sono pienamente soddisfatto del risultato. Chris (Kimsey) ha detto del mio album (che gli ho fatto ascoltare in anteprima):

“The songs are heartfelt reflections, the guitar playing and sound 100 % original, I have never heard this sound, its not just the guitar , the amplifier the stings ….. its your fingers your soul”

(“Le canzoni sono riflessioni molto sentite, la chitarra ed il sound sono al 100% originali, non ho mai sentito questo sound: non sono solo la chitarra, gli amplificatori ed I riff…sono le tue dita e la tua anima”).

Credo di aver colpito nel segno. Ciò non toglie che se il contesto me lo permetterà, vorrei registrare il prossimo disco in studio con una band.

 

Quanto ti ha dato l’esperienza londinese e come mai hai deciso di ritornare in Italia?

 

Credo che mi abbia dato tutto. Da un punto di vista soprattutto umano e poi anche tecnico ed artistico. Londra è stata il centro della musica planetaria per tre decadi. E ti spara addosso una quantità infinita di input e situazioni che io ho provato sulla mia pelle. In più mi ha dato la possibilità di imparare tutto ciò che ho imparato e di suonare davanti al pubblico più ostico del pianeta. Il motivo per cui ho deciso di tornare in Italia è semplice: ero esausto. La mole di lavoro era diventata enorme ma soprattutto non riuscivo più a suonare e a scrivere musica. Non avevo più un progetto, dopo lo scioglimento della band. Eppure dal 2004 ho continuato a vivere lì lavorando nell’industria musicale perché sapevo di dover ancora imparare moltissimo. Quando ho capito di aver completato la mia esperienza e mi sono accorto di stare in esaurimento galoppante ho deciso di rientrare.

 

Seguendo i tuoi lavori ho notato che oltre al lato musicale curi molto anche l’aspetto comunicativo con interviste e video. Quanto è importante questo ambito e quanto incide sul lavoro musicale vero e proprio?

 

Credo che la comunicazione sia alla base di ogni percorso artistico. Un artista certamente crea per sé stesso ma riesce ad essere soddisfatto in pieno solo se comunica la propria arte al maggior numero di persone. L’arte ha, a mio avviso, in sé un innato significato sociale e l’artista si nutre di comunicazione. Guarda ad esempio quello che combina il collettivo Banksy: arte e comunicazione in un sodalizio perfettamente funzionante. Alla fine, per quanto mi riguarda, credo sia importante che il pubblico sappia chi sono. Indi mi affido al mio ufficio stampa (MusiCommunication).

 

So che hai avuto un’esperienza importante come ingegnere del suono e in passato hai lavorato anche in diversi studi di Londra. Dal lato della produzione, a tuo avviso al giorno d’oggi è più facile o più difficile per una band lanciarsi nella realizzazione di un lavoro d’esordio? Pensi che la tecnologia e le app, come può essere Gigfound, possano aiutare in questo senso?

 

Si, ho avuto la fortuna di lavorare per due anni agli Sphere Studios e di fare il freelance in molti altri studi di Londra e non, fino a registrare l’Orchestra Sinfonica Bulgara allo studio SIF 309 di Sofia. Credo che oggi sia sicuramente più facile per qualsiasi band registrare il proprio disco di esordio perché la tecnologia lo permette ed i costi si sono enormemente abbattuti. Per cui è tecnicamente semplice entrare in studio e registrare, anche (e purtroppo) senza un produttore artistico. Il problema enorme è che c’è un mare di artisti che produce musica senza avere alcuna idea di cosa significhi far funzionare un brano e molte volte senza alcuna conoscenza dei linguaggi. Se entravi in studio nel 1975 con la tua band dovevi per forza avere un produttore artistico che ti seguisse. Anche perché gli studi costavano un botto e quindi l’unico modo di entrarci era tramite case discografiche che li finanziassero, ed ogni casa discografica (a parte rarissime eccezioni) imponeva e pagava anche il produttore artistico. Oggi, vista la tecnologia ed i costi bassissimi, questa figura (negli ambienti non professionali) è quasi per nulla considerata. Il che crea la tragica situazione per la quale c’è moltissima musica che non funziona. Si tende a credere (soprattutto in Italia) che il produttore sia colui che, alla stregua del fonico, è responsabile del sound di un disco (e di conseguenza di un artista). Ma non è così, perché il produttore è anche colui che cura gli arrangiamenti e le performance, oltre che a sovrintendere al processo d registrazione. Per farla breve, tecnologia ed apps possono aiutare moltissimo, ma se alla base non c’è il know-how c’è poco da fare…

 

Quali sono i tuoi progetti futuri? Ci sarà un tour per promuovere l’EP?

 

Per adesso mi concentro sulla campagna di crowdfunding che finirà a fine maggio. Poi entrerò in sala prove con la band a metà mese per preparare il repertorio per i concerti che iniziano ad arrivare. Il primo sarà il 26 di giugno a Taranto. Poi suonerò il 24 di luglio al “Sound City Festival” di Ferrara. Poi a novembre sarò a Milano e poi altre date arriveranno dopo l’uscita ufficiale dell’album che avverrà a fine giugno.

 

Se siete curiosi, ecco alcuni links dell’artista da tenere sottocchio :

Official web site

Youtube 

Facebook

 

La foto di copertina è di Marina Giannotti

 

 

Alessandro Melioli
alessandro.melioli@gigfound.com

Filosofo, classe 1991, da Reggio Emilia. Ama raccontare storie legate al mondo musicale e si impegna a supportare realtà socio-culturali nell'organizzazione di eventi. Ha collaborato con webzine (Vox, KeepOn) e radio (RumoreWeb). Nel tempo libero si dedica allo sport (calcio e basket) e alla pratica di discipline orientali (yoga). Dategli libri e musica e lo renderete una persona felice.

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